Internazional talking

Ricordo mio padre che s’esprimeva sempre in perfetto italiano, anche a casa, perché sennò ci prendono per terroni noi migranti senza patria di stirpe zappatora.
Quando però si trovava a discutere col muratore o col pescivendolo locale, papà, come Zelig, adattava il proprio lessico, la cadenza, l’idioma nell’insieme, al proprio interlocutore.
Affascinante.

Poi, più tardi, soli, mi spiegava con orgoglio quanto lui fosse in grado di parlare con tutti: dal contadino all’avvocato. Per lui l’avvocato era il top dell’eloquenza forbita.

Crescendo ho compreso che quell’identico discorsetto orgoglioso al proprio figlio lo faceva anche il muratore, o il pescivendolo, dopo aver parlato con papà.
È sempre un incontrarsi a metà del guado che separa i rispettivi territori linguistici, culturali, credendo, però, ognuno di aver percorso l’intera traversata fino all’altrui sponda, e ci si compiace di questa capacità natatoria.

Io mi accorgo di essere il muratore, o il pescivendolo, in molte relazioni duali di conoscenza, amicizia e collaborazione. Ok, se non proprio il muratore o il pescivendolo, mestieri degnissimi, diciamo allora il poeta popolare naif. Una specie di nino d’angelo, renato zero, califano: ‘sti tagli di pezzatura qua.
Consapevole dei miei molti limiti, strutturali alcuni, ostentati altri per nutrire suddetta immagine che sempre uno standard a cui aggrapparsi è, anch’io mi bullo interiormente di sapermi relazionare, quando vi sono chiamato, col direttore del Post, col mio amico Sofi, col direttore di Internazionale e via così, figure d’altro profilo culturale e di pensiero. Ma, quando accade, è vero confronto? Me lo chiedo perché mi resta quella sensazione di incontro tra chi viaggia a diverse velocità: loro col freno tirato, che fa puzzo di brucio, e io coll’acceleratore a tavoletta e il motore imballato fuori giri, che fa puzzo di brucio, affiancati per pochi giri di pista percorsi a velocità identica, per poi tornare entrambi alla nostra andatura abituale.
Appunto, la sensazione che mi resta addosso, oltre al piacere orgoglioso d’aver sostenuto il confronto, è quel puzzo di brucio. Sono sicuro lo avvertano anche loro, e ognuno crede sia tutto suo.

O anche: tutta questa roba quissù è pura paranoia nutrita da un senso d’inadeguatezza piagnona. Vai a capire.

Comunque sia, io l’ho immaginata così la riunione redazionale da cui sabato scorso è scaturita una chiamata sul mio cell da parte di Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale.

– Direttore, con che contenuto visuale integriamo lo speciale dell’Economist su Berlusconi e l’Italia che pubblichiamo nel prossimo numero? Le foto utilizzate dagli inglesi sono piuttosto banali e stucchevoli.

– Uhm. Tutto lo speciale ha un tono un po’ così, di reportage estivo dal paese delle banane. Un po’ monty python, un po’ benny hill. Boh. Non so. Ci penso e ti dico.

– Ci vorrebbero illustrazioni satiriche. Magari Gipi.

– Magari! Ma Gipi è anche fin troppo alto vicino a questo materiale, e poi sta lavorando al suo film. Ci vuole uno più terra terra. Più crasso. Ridanciano. Popolare, popolano.

– Ah, allora non saprei. Non frequento… Posso chiedere a un tizio che conosco, se lui conosce qualcuno.

– Un tizio che conosci?

– Ehm, il mio pescivendolo. L’ho visto leggere una vignetta sul suo iPad, una volta, e poi sganasciarsi. Non ho capito perché, ma magari è utile saperlo. Non so, vado a tentativi. Il disegno sembrava rappresentasse Berlusconi.

– Il tuo pescivendolo ha l’Ipad?

– La versione 1, da 8 giga, jailbrekkata, senza custodia in caucciù. Preso su ebay.

– Ah, mbe’.

– Eccerto, po’rello…

– Spetta! Forse ho capito cosa leggeva! Ho il nome!

– Chi? Qualcuno che possiamo contattare entro breve? Il giornale va chiuso martedì

– Sì, sì. Ma devo chiamarlo io. So come parlagli. M’aggia cala’ nu poco aint’o personaggio, ma è nu bbuono guaglione. Lassa fa’ ammè.

– Eh? Non ho capit…

– Niente, niente. Vattènne mò, che aggia telefona’

In quel momento squilla il mio cellulare.

Ecco: venerdì Internazionale ripropone il recente, famoso o famigerato, a secondo dei punti di vista, speciale dell’Econosmist sul nostro Paese (quello con in copertina Berlusconi e il titolo “The man who screwed an entire country”).
Be’, nell’edizione di Internazionale, le illustrazioni le ho fatte io. A modo mio. Senza accelerare né frenare. Perché a Giovanni, che lo chiamo per nome io che ciò confidenza, gli ho spiegato che so lavorare solo così. D’altra parte era esattamente ciò che mi ha chiesto lui.
Insomma ci siamo compresi. Grazie a me, ovviamente.

Che io riesco a ci parlare alla pari davveramente con chiunquo.

 

 

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