maggio sull’animals e una mano d’artista

Ieri parlavo in skype con Flaviano. Parlavamo di progetti futuri da realizzare assieme, ché alcuni passati ci hanno dato soddisfazione. Parlavamo di sòle che io do, ma senza cattiveria. Senza cattiveria lo dicevo io, veramente. Parlavamo del Canemucco, anche, della prossima stagione della serie. Mi diceva Flaviano, che è uno che frequenta il giro, mi diceva che a molti disegnatori di fumetto non piacciono le storie di don Mimì come disegno, non è bello, non ciò la mano, ma le apprezzano come sceneggiatura. E qui in me s’apre il solito pozzo da riempire con l’approvazione altrui, poi, in effetti, m’accorgo che io leggo pochi fumetti perché molti mi sembrano bel disegnati e scritti di merda. Non c’è refuso. Bel disegnato a me piace sulle cravatte, ma, nel segno che comunica, che parla, nella grafìa, cerco l’intimità nuda, l’Impronta del Sé. In ambito fumetto questo lo trovo assai poco, e in assai pochi. Materiale per cravatte, invece, assai molto. Cravatte per camicie collo francese.
Fortunatamente le mie storie non son scritte per essere apprezzate dai disegnatori di fumetti, o non solo farei la fame, ma anche la sete.
Poi con Flaviano abbiam concordato che sono uno che rosica, ci siamo trovati subito d’accordo, sì.
A lungo, rosico. Poi però, di botto mi scordo.

Poi c’è chi coniuga il bel segno alla potenza espressiva, molto raro. Flaviano è uno di questi. O può esserlo. Per questo parlavo con Flaviano in skype.
Non riesco a star dietro a tutte le storie che vorrei raccontare, non riesco a starmi dietro, non ciò la mano. Nel senso che me ne manca un’altra. Una vera come la mia però, non bella da cravattista. Sì, vorrei avere una mano in più, o anche tempo in più. Le cose che realizzo sono veloci nella scrittura, ci metto poco a fare le tavole, ma lente nella preparazione. La preparazione consiste in me che passeggio, o sono in macchina, o seduto al tavolo del bar di fronte al mare, o in giardino che guardo nel vuoto e ridacchio, o m’intristisco alle lacrime, e costruisco La storia. E la costruisco fin nei dettagli. Fino ai cerini. Per dire.
Giornate se ne vanno così. E un sacco di storie restano inespresse. Tempo in più non se ne può avere, è fisica terrena, checché ne dica Albert.
Quindi ho proposto a Flaviano di darmi la sua mano, perché tra tutti quelli che conosco solo a lui la chiederei, ché attaccata alla mano ci vuole la testa, altrimenti ti ci dai il sapone alla schiena colla mano in più, e lui la testa ce l’ha. Infatti la simbiosi non funziona che io gli do la sceneggiatura, no. Funziona che gliele scrivo le storie come scriverei un racconto, poi lui se le beve, le metabolizza cercando nel suo vissuto, metodo stanislavskij, e le tira fuori nuove e vere e un po’ sue. Ovviamente se l’alchimia non girerà per qualche storia, nix, quella non si farà. Ma io conto sul fatto che lui è terrone come me. Terrone Errante. Questa cosa ci fa diapason, un po’. Questa e l’incapacità nella consecutio.
Vediamo come va. Magari qualche tavola la si mette quissù, per vedere, per sentire, per vederlo sudare a non fare i pupazzelli ma le robe vere. Che ammè piace come disegna le fìmmene vere, no le wisknx.

Infine passiamo ai cazzi miei singolari.
Anche a maggio Animals m’ospita una storiella di 7 tavole. Ma scritte tutti i righi (questa l’ho già usata misà. vabuò).
La storia m’ha divertito, è un dialogo tra signore che parlano di abbigliamento. Mi piace scrivere i dialoghi. E’ la cosa che più mi piace scrivere dopo i monologhi. E mi piace parlare di sartoria e abbigliamento e mi piacciono le madame borghesi ai tavoli da caffé che fanno a fette tortini e cristiani.
Laura Scarpa, a proposito di signore borghesi che affettano, altresì direttore-creatore-ideatore-capoIndiscusso di Animals, mi lascia davvero fare quello che mi piace (non quello che mi pare). Su sette tavole una me la concede sempre di copertina. Ma io non la metto per far numero quella “copertina” prima della storia: ci sta bene, ce la sento. Come un cartello prima d’un atto teatrale. Probabilmente la sente giusta anche lei sennò la taglierebbe; non s’è fatta mai scrupoli per fortuna di chi l’ha avuta come editor: lei capisce la mano perché ce l’ha (la maledetta).

La storia s’intitola Buddy Holly. Al solito c’è assai scritto. Se non vi piace leggere, saltatela subito e compratevi una cravatta Marinella e fateci un mezzo windsor, anche se su un collo francese ci sta così così.

No. Ancora non mi son scordato, occorre più tempo.

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